domenica 28 giugno 2015

La lezione di democrazia


La democrazia greca, o meglio quella ateniese, fu la prima forma di governo democrativa della storia.
Cosa prevedeva? Semplicemente che un  gruppo di cittadini, (adulti e maschi), potesse proporre disegni di legge e votare quelle di iniziativa di un organo esecutivo, anch'esso selezionato tra la popolazione.

Tutto questo avveniva 2500 anni fa.

Ecco un passaggio del discorso pronunciato da Pericle agli ateniesi:

Abbiamo una costituzione che non copia le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. 
E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell’amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo talento in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale ma piutttosto per quello che vale. 
E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall’oscurità del suo rango sociale.”


Ecco l’insegnamento di queste ore proveniente da Atene per l’Europa e per il Mondo intero.

Il popolo sovrano deciderà.

Ed il Governo si atterrà alla decisione del popolo.
L’Europa dovrebbe ripartire da questo.
Dal coinvolgimento dei popoli, dalla condivisione della storia, rendere attuali ed attuabili i pensieri dei padri fondatori della democrazia.
L’Europa deve essere la culla di un nuovo modello globale di sviluppo fondato sul sapere, sui valori umanistici e rispettosi della volontà popolare.
Basta con i tecnocrati, con gli economisti, con i banchieri, con i cercatori del predomonio personale o della propria nazione.

E’ l’Europa del domani. 
E’ l’Europa che sogno.
E’ l’Europa che sognano i popoli.

Molto probabilmente i popoli, che si sono combattuti tra loro per secoli,  sono più avanti dei politici e dei tecnocrati che sono oggi alla guida di questa grande opportunità di progresso per il Mondo.

Questa opporttunità si chiama Europa.
Credo che sia possibile. 
Il popolo greco ha dato una grande lezione. 
Acquisiamola.

Riccardo Cacelli

domenica 31 maggio 2015

Un piano per sottometterci..sempre loro...oggi come allora


Walter Funk
Per costruire una nuova Italia è necessario capire e conoscere aspetti della storia che, media e politica, volutamente nascondono al popolo.

Oggi conosciamo Walter Funk ed il suo "piano".
 
Walther Funk nacque a Konisberg nel 1890 e morì a Dusseldorf nel 1960. 

E' stato un politico tedesco, condannato all’ergastolo dal Tribunale Internazionale di Norimberga


Funk è molto conosciuto dagli studiosi di economia e di storia perché fu con l’appoggio di Hermann Goering, dal 1937 al 1945, Ministro per gli affari economici della Germania guidata da Adof Hitler, Governatore della Banca Centrale Reichsbank (antesignana della Bundesbank) nel ’39 e nel consiglio della pianificazione del Terzo Reich nel 1943.

Queste funzioni così elevate gli permisero, con il sostegno di Hitler di rielaborare un piano per la conquista e pianificazione del dominio economico tedesco su tutta l’area continentale europea: il “Piano Funk”.

Il piano fu enunciato nella sua articolata configurazione nel discorso “La riorganizzazione economica dell’Europa” del 25 luglio del 1940.


Nel piano si ribadiva l’indispensabilità di prendere come riferimento la politica economica nazionalsocialista per la guida del nuovo ordine, nella convinzione che essendo disciplinata dal rigido dogma dei suoi metodi, fosse idonea come nessun’altra nell’essere adottata da tutti gli altri paesi.

La parola d’ordine era: Neuordnung Europas, Nuovo Ordine dell’Europa.

Nel piano la Germania doveva diventare arbitra dei destini dell’Europa, monopolizzare e condizionare ogni attività e iniziativa e la popolazione sarebbe stata anche classificata con parametri culturali e sociali considerati tipici del popolo tedesco, nella presunzione, che i propri metodi proposti, se adottati, si sarebbero rivelati di grande vantaggio anche per le altre nazioni.

Particolarmente interessanti i passaggi del discorso in cui Funk rivelava le specifiche del suo Piano riguardo alla questione della creazione di una nuova moneta.

Funk prefigurava nella grande area economica che si sarebbe realizzata, un ruolo predominante del marco come conseguenza della potenza del Reich, con l’istituzione di una area valutaria che avrebbe portato a una “moneta generale a supporto di un graduale livellamento delle normative infra-nazionali a favore dello sviluppo dovuto all’espansione economica.

Tale “moneta generale” non sarebbe stata ancorata all’oro con un sistema analogo al gold-standard, ma sostenuta da un sistema di compensazione europeo fra l’import-export dei paesi partecipanti, dove alla Germania sarebbe spettata l’assoluta determinazione dei relativi flussi attraverso l’imposizione della sua politica economica supportata dal predominio militare conquistato e consolidato.


Il prof. Paolo Savona nell’ottobre del 1012 scrisse in una celebre lettera agli italiani……

Nella mia lettera agli amici tedeschi, che vi prego di leggere, domando loro se sono coscienti che stanno attuando la sostanza del Piano economico avanzato nel 1938 da Walter Funk, il ministro dell’economia nazista, il quale prevedeva che la Germania divenisse il “paese d’ordine” in Europa, che il suo sviluppo fosse prevalentemente industriale, con qualche concessione per l’alleato storico, la Francia, e che gli altri paesi europei si concentrassero nella produzione agricola e svolgessero funzioni di serbatoio di lavoro; infine che le monete europee confluissero nell’area del marco, per seguirne le regole.

Volete che ciò accada?

E’ questo il problema dell’Europa di oggi….. uno dei motivi della probabile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea….. della mancata adesione della sterlina all’euro..

Ora come allora, e la storia continua.

O forse è la guerra che…… continua!

Riccardo Cacelli

venerdì 29 maggio 2015

La cooptazione, il cancro della democrazia



Londra - Un amico ed iscritto al Gruppo #Italia2.0 di facebook ha chiesto un mio intervento sulla cooptazione nella politica.

Per capire questo meccanismo vediamo prima cosa è la cooptazione a carattere generale.

La cooptazione è un metodo per la scelta dei nuovi membri di un organo collegiale che consiste nella loro "elezione" da parte dell'organo stesso.

La cooptazione rientra tra i metodi non democratici, in quanto le persone cooptate non sono espressione di un gruppo sociale esterno al collegio e quindi rappresentativi dello stesso gruppo sociale. 
Per questo motivo la cooptazione si ritrova spesso in regimi dittatoriali, aristocratici o oligarchici, dove rappresenta uno strumento di potere del gruppo dominante.

Nei moderni stati democratici la cooptazione è stata generalmente abbandonata

Tuttavia trova ancora qualche applicazione quando si vuole garantire una particolare indipendenza all'organo e quando si rende necessario ristabilire la pienezza della composizione di un collegio, dopo che alcuni membri sono cessati, se non è possibile o troppo onerosa l'elezione dei sostituti con le modalità ordinarie. In quest’ultimo caso i membri cooptati rimangono in carica solo fino alla scadenza del mandato di coloro che hanno sostitituito.

Premesso questo vediamo la cooptazione nella politica italiana.
E’ una strategia antidemcoratica dove un ristretto gruppo di persone “nomina” altri all’interno degli organi statutari del partito o “nomina” persone di sicuro eleggibili all’interno degli organi legislativi e governativi in ambito nazionaloe, regionale e locale.

Nel dopoguerra la cooptazione è stata usata dal Pci che, Il segretario del partito nominava i partecipanti al Comitato Centrale sino alla più sperduta sezione di un villaggio italiano.

Negli altri partiti c’era la lotta politica delle tessere e della ricerca del consenso tra il proprio elettorato.

Con la legge Mattarella del 1993 (scritta dall’attuale Presidente della Repubblica) la cooptazione ebbe un ulteriore sviluppo.

Con i collegi uninominali e le liste bloccate per la quota proporzionale il fenomeno si è notevolmente potenziato e la cooptazione è diventato lo strumento di regime tutt’ora esistente.

Berlusconi è stato il primo ad usarlo sullo stile dei consigli di amministrazione delle prorpie società, ma poi si sono tutti adeguati ed adeguate.

Poi con il "Porcellum" ancora un sensibile sviluppo della cooptazione.

Lega, Ds, poi l’Ulivo, la Margherita, Alleanza Nazionale, Pdl, il Pd (con primaria farza) ora praticano questo strumento con più intensità.

L'unico che non adotta la cooptazione è il Movimento dei 5 Stelle.   

Basta essere amico, conoscente, amante, socio d’affari, fratello di loggia, amico dell’amico per diventare parlamentare, consigliere regionale o comunale.
 
Ed essere in grado di genoflettersi davanti al "boss"


Per esempio personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della finanza sono stati cooptati” per raccogliere consensi generali ma sopratutto per averli come "dipendenti eletti" nelle assemblee legislative.

Il consenso quindi è dato ad un “uomo immagine” che i media italiani chiamano leader, senza poter far esprimere con la preferenza il gradimento di un candidato.

Questo è il motivo perchè una intera generazione di persone della società civile ha alzato bandiera bianca disinteressandosi completamente della vita politica italiana.


E gli elettori? 
Semplici “piccioni” alla ricerca, sotto lo sguardo attento del duce di turno, di una briciola da mangiare per sentirsi cittadini vivi inconsapevoli del loro ruolo marginale od inutile che media, tutti, hanno volutamente costruito intorno al popolo sovrano che sovrano non lo è più, e, non lo sa.

Non lo è più proprio grazie alla cooptazione.

Riccardo Cacelli 

martedì 19 maggio 2015

I numeri dell'immigrazione in Italia. Per elaborare soluzioni politiche è necessario conoscerli


Prima di parlare degli aspetti politici sociali ed economici relativi ad un problema è doveroso conoscere i dati ufficiali e veri.

Solo dopo possiamo trarre conclusioni politiche.
La crociata anti-immigrazione, condotta con energia e sistematicità da molti movimenti e partiti politici, anche grazie ai media, sta facendo sempre più proseliti nel paese, soprattutto tra gli strati popolari, ma la verità è un’altra.

Ho cercato i numeri sull'immigrazione. 
Li ho trovati. 
Ed ho avuto una sorpresa: la realtà, suffragata dai numeri, è diversa dalla propaganda in cui molti miei amici e connazionali sono caduti.

Vediamo i numeri.

Gli immigrati sono indispensabili all’economia italiana, come tutti gli studi seri hanno evidenziato in questi anni. 

Stime recenti ci dicono che gli immigrati regolari in Italia sono all’incirca 5 milioni, l’8% dell’intera popolazione.

Producono l’11% della ricchezza nazionale e dichiarano al fisco circa 37 miliardi l’anno.

Il 60% di essi vive e lavora al Nord, il 25% nelle regioni centrali e solo il 15% al Sud.

Lavorano nelle case degli italiani, nei loro fondi, nelle loro fabbriche.

Altri, una minoranza, producono reddito e gettito per l’erario col proprio lavoro autonomo.

La concentrazione maggiore di lavoratori stranieri, prevalentemente di origine extracomunitaria, si ha nell’industria, circa il 37%, comparto alberghiero e della ristorazione (con il 14,5%), agricoltura (con il 13%), servizi alle famiglie (è stimata una presenza pari al 3,3%).

Nel settore delle costruzioni, invece, la presenza di stranieri è ormai più del doppio di quella degli italiani.

Partita Iva: è l’8% dell’intera popolazione di immigrati regolari.

La somma di gettito fiscale e contributivo riconducibile al lavoro degli immigrati in Italia ammonta a 16,5 miliardi di euro, a fronte di una spesa pubblica complessiva “legata agli stranieri” di 12,6 miliardi di euro (l’1,57% della spesa pubblica totale

Nella maggior parte dei casi, gli immigrati svolgono lavori che non corrispondono ai propri livelli di istruzione: circa cinque occupati stranieri ogni dieci sono in possesso di un titolo di studio pari ad almeno un diploma, ma generalmente il proprio impiego afferisce a settori in cui è richiesto quasi esclusivamente il lavoro manuale.

Attualmente si stima che in Italia le badanti (ed i badanti) straniere siano circa 1 milione. A seconda dei casi, il loro stipendio varia dai 700 ai 1.000 euro mensili, meno della metà, per lo più, di quanto le famiglie sarebbero costrette a pagare per tenere i propri congiunti non autosufficienti in strutture private, ospizi o case di cura.
Solo un terzo di queste lavoratrici beneficia di un regolare contratto, il resto è lavoro nero.

L’età media della popolazione italiana è di circa 42 anni contro i 30 dei cittadini stranieri. I pensionati in Italia sono circa 10 milioni e mezzo. Tenuto conto che la popolazione italiana, al netto degli stranieri, è di 55 milioni di abitanti, il rapporto attuale tra pensionati e popolazione totale è di 1 a 5.

Su un numero totale di immigrati di circa 5 milioni, le pensioni di anzianità dagli stessi percepite sono circa 240 mila: un rapporto di 1 a 25.

È facile comprendere, in base a questi dati, che le pensioni degli italiani saranno sempre più appese al lavoro degli immigrati, che versano a titolo di contributi nelle casse dell’Inps più di 8 miliardi all’anno.

Come per i contributi dei lavoratori precari italiani, affluenti nel fondo Gestione Separata, nondimeno, questi soldi sono indispensabili alla sostenibilità del sistema, ma non serviranno, se non per una minima parte, a garantire una pensione a chi li ha sborsati.

Ad oggi, si stima che le case in affitto per gli stranieri siano più di 600mila in tutta Italia, la maggior parte concentrate al Nord.

Circa l’80% delle famiglie immigrate condivide l’alloggio con uno o più nuclei e soltanto il 21,8% delle famiglie occupa un appartamento singolarmente.

L’evasione fiscale in questo ambito, come si può facilmente immaginare, è di notevoli proporzioni: tra affitti in nero o contratti registrati a cifre inferiori, oltre 3 miliardi e mezzo di euro all’anno di imponibile sfugge regolarmente al fisco.

Il canone medio dichiarato oscilla tra le 700 e le 1.000 euro mensili, ma si stima che, generalmente, esso è più alto di quello ordinario finanche del 50%.

Si stima che solo il 15% degli immigrati abbia un contratto di locazione regolare.

Livelli di sfruttamento cui i lavoratori immigrati sono sottoposti, generalmente in ogni ambito economico e produttivo.

Comparto agroalimentare, parliamo di una popolazione lavorativa di circa 300mila persone in tutta Italia, di cui una parte considerevole è costretta a lavorare per 2-3 euro all’ora per 12-14 ore al giorno.

Le famiglie straniere che nel nostro paese vivono al di sotto della soglia di povertà sono il 33,9%, contro il 12,4% delle famiglie italiane, con un reddito medio annuo inferiore della metà a quello di quest’ultime.

Tutti gli studi effettuati negli ultimi 15 anni dimostrano che il cosiddetto “tasso di criminalità” fra gli immigrati regolari è pressoché uguale a quello che si riscontra nella popolazione italiana, l’1,40 contro l’1,23%.


Gli immigrati delinquono nella stessa misura degli italiani.

Secondo un’indagine dell’Istat di qualche anno fa, il 90% degli stupri che si consumano annualmente nel nostro paese sono compiuti da italiani.

Per tutti gli altri reati di maggiore allarme sociale, a cominciare dalle varie tipologie di furto, negli ultimi anni si è avuto un calo considerevole delle denunce a carico di immigrati, regolari o irregolari che fossero (-31%).

Stando ad una ricerca recente dell’Idos, comunque, tra il 2004 e il 2012 le denunce contro gli italiani sono passate da 467.345 a 642.992, mentre quelle a carico degli stranieri hanno fatto registrare un aumento minore, da 224.515 a 290.902, in termini percentuali +37,6% contro +29,6%.

Su tutto, in ogni caso, un dato inequivocabile: il tasso di criminalità degli stranieri è inversamente proporzionale a quello del numero di permessi che vengono rilasciati. 

Più alto è il numero dei soggiornanti regolari, più basso è il numero dei delitti che vengono commessi.

Un’analisi dei flussi migratori degli ultimi anni dimostra come la questione stia in termini assolutamente diversa da come si crede.

Punto primo: l’Italia non è la meta preferita dei migranti. Secondo un recente rapporto dell’Istat, negli ultimi cinque anni i nuovi arrivi sono diminuiti del 41,3%.

A questo dato va aggiunto quello relativo al numero di immigrati che ogni anno lasciano il nostro paese per altre mete europee (Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia, prevalentemente): si è passati dai 51mila del 2007 ai 126mila del 2013. In media siamo in presenza di un esodo che riguarda, ogni anno, circa 300mila stranieri.

Ora, dopo aver letto questi dati, possiamo formulare una soluzione politica.


Riccardo Cacelli

lunedì 18 maggio 2015

Serve un nuovo "Codice Liberal Democratico Cristiano"


Questo è una mia proposta per rifondare un centro destra partendo dai valori cristiani che contraddistinguono la società italiana.
Monastero di Camaldoli
Dal 18 al 23 luglio 1943 nel monastero di Camaldoli nel Casentino si ritrovarono una cinquanta di giovani dell’Azione Cattolica Italiana e dell’Istituto Cattolico di attività sociale.

Pochi giorni dopo crollò il fascismo.

Questi giovani prepararono il “Codice di Camaldoli” ovvero il riallineamento del pensiero cattolico-sociale italiano su parametri europei ed occidentali con il superamento delle anticaglie fasciste imperniate sull’autarchia ed il corporativismo

Il testo di Camaldoli costituì un testo fondamentale della dottrina del Cristianesimo sociale.


Il Codice di  Camaldoli è articolato in una settantina di punti che enunciano la dignità della persona, l'eguaglianza dei diritti individuali, il bene comune, le funzioni dello Stato, la destinazione primaria delle risorse, la giustizia distributiva, la solidarietà sociale.

E’ stato la linea guida della Democrazia Cristiana.
E’ stato la linea guida per l’ispirazione politica post bellica dove vennero poste le premesse sia del «miracolo economico» sia dell'adesione dell'Italia alla Cee, la Comunità economica europea.
 
E per rifondare il centro destra è utile anche qualche altra riflessione, come questa di Indro  Montanelli che scrisse così ad un suo lettore che gli chiese la differenza tra democratici e liberali:

Cominiciamo intanto col dire che, prima che una scelta ideologica, quella liberale è una scelta di civiltà: nel senso che ha diritto a considerarsi e ad essere considerato liberale chiunque rispetta le opinioni diverse ed anche opposte alle sue.

Ecco perché si può essere liberali anche militando sotto altre bandiere: quelle per esempio socialiste o cattoliche: basta che i loro militanti non pretendano di essere depositari di Verità assolute che escludono tutte le altre e d' imporre quella propria con gli strumenti del potere: la censura e il resto.

Ecco il punto in cui il liberalismo si differenzia dalla democrazia che con la sua religione della maggioranza rischia molto spesso di diventare, in nome di essa, dispotica.

L' oltranzista della democrazia crede che il numero sia il metro di tutte le cose e abbia il potere di rendere buone anche quelle cattive. Il liberale, quello vero, non rinunzia affatto a giudicarle secondo il suo metro morale, anche se riconosce il diritto della maggioranza a realizzare le sue volontà.

Purché rispetti quello della minoranza e, se del caso, a condannarle, sempre - si capisce - coi mezzi legali della critica e della persuasione. Il democratico, quando ha il numero, crede di avere tutto e di essere autorizzato a sovvertire, in nome di esso, anche la legalità.

Fu la democrazia dei giacobini, non certamente il liberalismo dei girondini, a inventare la ghigliottina. Non dimentichiamolo.

Stabiliamo dunque il punto fondamentale.

L' ideale della democrazia, in nome della maggioranza, è l' eguaglianza, cioè l' abolizione, anche con la violenza, di qualsiasi distinzione fra persone, ceti, qualità, meriti e colpe.

L' ideale del liberalismo è, come dice la stessa parola, la libertà, perché solo nella libertà, cioè in una condizione che lo affranchi da qualsiasi vincolo e controllo, l' uomo trova lo stimolo a dare il meglio di sé per arrivare più in alto che può sia socialmente sia economicamente."

Partiamo da questi tre punti: democrazia, libertà e valori cattolici.

I giovani, ed anche i meno giovani, che nel loro animo hanno questi tre punti dovranno elaborare un nuovo "Codice liberal democratico cristiano".

Un Codice che sia interprete e testimone della società di oggi.
Che sia in grado di percepire le mutazioni, le integrazioni, le aspirazioni della società italiana partendo dal popolo e per il popolo.

Momento della firma della Costituzione Italiana
La Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo.
 
La sovranità deve essere esercitata, credo, non solo con il voto, ma anche attraverso una classe dirigente in grado di ascoltare ed interpretare il popolo.

Ascoltare ed interpretare il popolo e non poteri forti, più o meno occulti, più o meno leagti alla finanza, più o meno corporativisti.

Chi, come me, crede in questi valori: democrazia, libertà e rispetto della fede cattolica, è il momento giusto per impegnarsi direttamente.

L’Italia ha bisogno di aria nuova, pulita, fresca.
Ed i nostri figli hanno bisogno del nostro impegno e non della nostra latitanza.

Organizziamoci per fondare #italia2.0

Riccardo Cacelli

giovedì 14 maggio 2015

Niente bombe. Solo efficacia ed efficienza nella gestione delle migrazioni


Io sono per D’annunzio.
Mi è sempre piaciuto, non solo come poeta ma anche come uomo impegnato direttamente nella politica e nella società .
Chi non ricorda l’idea e la successiva realizzazione del Volo su Vienna del 9 agosto 1918?
Ed il testo del famoso volantino (anche se non lo scrisse lui)?
Ve lo ricordate? Ecco la prima parte:

VIENNESI!
Imparate a conoscere gli italiani.
Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
 
Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
 
Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni.

Da questo vorrei partire per spiegare il mio concetto che le bombe non servono, non sono necessarie.
Serve, viceversa, una politica della comunicazione, diretta efficace ed efficiente.
 
Si comunica in tanti modi: con le parole, con il corpo, con i fatti.
Ecco in breve la mia idea politica di comunicazione ai profughi e potenziali immigrati in Europa.

Si parti dall’Onu., e precisamente dall’UNHCR che è la principale organizzazione al mondo impegnata in prima linea a salvare vite umane, a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati e di apolidi, e a costruire per loro un futuro migliore.

Lavora in 123 paesi del mondo e si occupa di oltre 40 milioni di persone.

Oggi l'UNHCR di Roma rappresenta la regione sud europea con interventi su Cipro, Grecia, Santa Sede, malta, Portogallo, san Marino, e Spagna.
Al fine di assistere i governi a trovare soluzioni ai flussi migratori  in maniera pratica e coerente, l’UNHCR ha iniziato a mettere in pratica il 10-Point Plan che individua aree chiave dove è necessario intervenire per gestire le migrazioni miste nei paesi di origine, di transito e di destinazione.
Quindi, credo sia opportuno potenziare il 10-Point Plan nell’area del Mediterraneo.

Potenziarla nei paesi di origine anche con funzionari dell’Unione Europea per la gestione diretta delle domande  d’ingresso nei paesi di origine.

Domande corredate da una serie di elementi indispensabili per l’identificazione immediata e successiva negli anni del richiedente (dna, parametri familiari, zona di provenienza, titoli di studio, verifiche penali, verifiche sanitarie, etc.etc.) .

Se il richiedente ottiene il visto d’ingresso in Europa, potrà prendere qualsiasi mezzo.

Se il richiedente non ottiene il visto d’ingresso in Europa, il suo profilo già inserito nel database generale sezione “rifiutato” non potrà accedervi e se vi accede commetterà un reato, punibile immediatamente e pena da scontare in un carcere di un paese dell’Unione Europa (non solo in Italia).

La prova sarà il suo Dna.
 
Le persone vedono una struttura, anche difesa militarmente, di natura internazionale ad alta valenza tecnologica che rappresenta la prima barriera comunicativa per far capire che a nessuno è negato di provare a richiedere lo status di “rifugiato” ma nello stesso tempo in grado di dimostare di essere integerrimi verso chi crede di arrivare in una nuova comunità, come quella europea, e comportarsi in maniera non rispettosa delle leggi e delle consuetudini del paese ospitante.

Molti si comportano da delinquenti perché sanno che in Italia ci sono lacune legislative, una burocrazia colabrodo inefficace ed inefficiente, organizzazioni di solidarietà in mano a clan malivitosi ed incapaci della più minima espressione d’accoglienza (lingua parlata), della possibilità di attraversare sicuri la rete a maglie larghe dei controlli sul territorio.

Credo che quello che ho pensato e scritto possa dare un brutto colpo non solo agli scafisti ma anche a chi lucra in Italia sui rifugiati e sugli immigrati clandestini.

A far diminuire il peso strategico ed economico dell'Italia. E far diventare l'Italia un paese che come fu scritto sul volantino di Vienna:  

noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
 
Le bombe non servono.
Serve serietà ed efficacia comunicativa diretta: mi fai domanda al paese tuo o da quello di partenza. Se sei accetto, vieni pure.

Se non sei accettato, non provare ad entrare in maniera clandestina.
Se ci provi e ti va bene, non ti far trovare in Europa,  perché ti mettiano in cella e buttiamo le chiavi. Terminata la pena, rientri nel tuo paese.


Riccardo Cacelli

domenica 29 marzo 2015

#Italia2.0, il Big Ben


Londra - #Italia2.0 è un’idea che mi venne in mente passeggiando nelle strette vie della City.
Mi mancava l’aria, i grattacieli mi impedivano di vedere il cielo e di respirare. Improvvisamente mi sentii oppresso. Di quella oppressione che ti imprigiona il corpo e la mente.
E pensai all’Italia e agli italiani. Prigionieri di edifici più alti e grossi di loro che impediscono le libertà essenziali: muoversi e pensare.
Serviva, mi dissi, una nuova versione di Italia. Una versione aggiornata.
Nacque nella mia mente e nel mio cuore: #Italia2.0.

#Italia2.0 deve essere per tutti, nessuno escluso.
Nessuno deve rimanere indietro, nelle retrovia di una società che percorre la via del progresso a due/tre velocità: per i ricchi, per la media borghesia e per quelli che molti chiamano “ultimi”, ma che ultimi non sono.

Deve parlare con i fatti e non con gli slogan. Gli slogan vanno comunicati dopo aver costruito qualcosa. Non prima.

Per costruire si deve iniziare dal progetto, e come tutti i progetti si deve iniziare dal “brain storming” (scusate l’inglese) dove tutti, senza limitazioni, propongono quello che ritengono essenziale, giusto, indispensabile per far progredire la nostra nazione.

Iniziamo a proporre, poi discutiamo (magari anche duramente) le proposte, analizziamo i punti di forza o di debolezza del sistema, cerchiamo le opportunità che ci saranno e le inevitabili minacce.

Un’analisi Swot nata dal popolo e per il popolo come unico e legittimo sovrano dei propri destini.

Un’azione politica per tutti i credi religiosi, per tutte le razze, per tutti i ceti economici, per tutti coloro che sono italiani e che si sentono italiani. Perché essere italiano significa non solo essere nato entro i confini,ma significa soprattutto un modo di essere, un modo di vivere, un comportamento.

Proviamoci, lo dobbiamo alle generazioni future ed alle generazioni passate.

Riccardo Cacelli